22 agosto 2013

Il calciatore con i guantoni

Ho aperto questo post con l' intenzione di parlare di una interessante infografica pubblicata di recente in cui si discute si da una prova scientifica del fatto che alcuni sentimenti e o emozioni sono intraducibili. Ogni lingua ha delle emozioni che un non nativo non potrebbe esprimere allo stesso modo....ma poi sul sito della intererssente rivista "Studio" ho letto una rticolo che mi ha affascinato e che qui ripropongo.
Sicuramente tutti ahnno notato che il portiere di qualunque squadra di calcio ha la maglietta di un altro colore; vi siete mai chiesti perchè?


Il calcio non è sempre stato così come lo conosciamo oggi. È cambiato, in questi primi cento e più anni di vita, molto: nella tattica, nei ruoli, nelle regole, nel numero dei giocatori. L’ultima rivoluzione risale al 1992, quando fu vietato al portiere di raccogliere con le mani il retropassaggio della difesa amica. Prima ancora c’era stata l’introduzione del fuorigioco, una delle regole principe, oggi. Prima ancora, negli ultimi anni del diciannovesimo secolo, i cambiamenti erano stati anche più radicali. Si trattava, allora, di segnare nettamente un confine tra il rugby e quel nuovo sport giocato con un pallone rotondo da prendere a calci.
 I confini storici del calcio non sono netti, anzi. La storiografia ufficiale è infarcita di formule come “la prima testimonianza scritta di”, che sta a significare, più o meno: “Prima c’era qualcosa, ma è soltanto una supposizione”. Ad ogni modo e per restare in tema, la prima testimonianza scritta del moderno gioco risale al 1519, ed è contenuta nel Vulgariadi William Horman, preside di Eton e autore di uno strano libro di grammatica – il Vulgaria, appunto. Qui, tra molte, si trova la frase «We wyll playe with a ball full of wynde», in cui “wynde” sta per aria. Di antenati, però, ne esistono decine, forse centinaia, e sparsi in tutto il mondo: i nativi americani stanziati nell’odierna zona dell’Oklahoma, secondo un articolo della Contemporary Review del 1929 firmato W. B. Johnson, praticavano un non meglio precisato gioco con una palla per celebrare il raccolto, in un campo disposto da est a ovest, i punti in cui il sole sorge e tramonta, così come in alcuni riti di fertilità irlandesi due sfere rappresentanti il sole e la luna andavano collocate, dopo una “parata”, in appositi “goal”, alberi concavi o buche e solchi nei campi, per propiziare la crescita. Stesso discorso per quanto riguarda il Mob Football, tradizionale gioco inglese del Martedì Grasso (Shrove Tuesday), simile a un rugby senza limiti di giocatori e molto diffuso nel Medio Evo: in alcune contee si credeva che la prestazione di un contadino potesse influire sul suo successivo raccolto.
In seguito, i secoli hanno sì introdotto importanti modifiche strutturali, ma non ne hanno snaturato lo scopo ultimo: il goal. Hanno, però, aggiunto al rito un elemento che nell’antichità non esisteva – o almeno, non esisteva in forma fisica e tangibile: il ruolo del portiere. Postulando che l’uso di portare una palla in una luogo appositamente destinato sia la cifra fondamentale del moderno gioco del calcio, il portiere rappresenta, naturalmente, un’aberrazione: è l’unico partecipante il cui scopo è quello di impedire il raggiungimento dell’obiettivo finale e unico. È, simbolicamente, il distruttore di raccolti, il portatore di carestia, la nemesi del gioco all’interno del gioco stesso. Anche per questo Jonathan Wilson, scrittore, giornalista, ex football correspondent del Financial Times nonché fondatore e direttore del trimestrale calcistico The Blizzard, ha scelto di scrivere un libro interamente dedicato al ruolo del portiere (cui si è molto attinto per questo articolo).
Si chiama The Outsider, e il titolo è un filo rosso che percorre tutte le trecento e più pagine a partire dall’epigrafe iniziale, un sonetto shakespeariano (il IXXX): «…in disgrace with fortune and men’s eyes, / I all alone beweep my outcast state… ». È “outcast”, più che “outsider”, il termine più utilizzato per descrivere il ruolo: la storia del portiere attraverso l’analisi di Wilson, che spazia dalla storiografia all’indagine psicologica, è quella di una costante tensione alla redenzione. Dal peccato originale, quello di essere, in senso figurato, l’ostacolo ultimo alla realizzazione della fertilità; ma, più pragmaticamente, anche dalla singolarità delle sue caratteristiche, che hanno impedito per lungo tempo una definizione chiara (in termini di regolamento, ma anche di tattica) di cosa possa o non possa fare un portiere.
Il football definibile come moderno, vale a dire quello delineatosi nella seconda metà del diciannovesimo secolo era, ancorché confuso in certi punti, già ben distinto dal cugino rugby. Eccezion fatta per il ruolo del portiere: fino al 1887 poteva giocare la palla con le mani ovunque, e fino al 1892 poteva essere senza problemi placcato dagli avversari, in quanto era, ancora, in potere di utilizzare le mani fino alla metà campo. Questo spiega il successo di giocatori come William “Fatty” Foulke, nato nel 1874, diventato professionista nel 1894 e ritiratosi nel 1907. Foulke, che giocò anche una stagione con il Chelsea nel 1905, arrivò a pesare, a fine carriera, circa 170 kg (per 1,93 metri). Anche per via della sua stazza William Foulke divenne un personaggio molto celebre al di fuori del mondo sportivo, ispirando una figura teatrale, Stiffy the Goalkeeper, interpretata da Harry Weldon: una sorta di caricatura che faceva poco altro se non mangiare, bere e subire goal a valanga, il che certamente non rendeva giustizia al valore reale di Fatty, ma illustra bene il complesso rapporto che il ruolo del portiere ebbe, da sempre (soprattutto nella prima metà del Novecento), in terra britannica.
È emblematica, in questo senso, una frase che Harry Rennie, nei primi anni del secolo uno dei più forti portieri d’oltremanica, pronunciò a un giornalista del Daily Record che chiedeva la sua opinione sulla superiorità della scuola di “numeri uno” continentale rispetto a quella britannica. «Se è vero» disse Rennie «è solo perché il temperamento latino è più adatto a un modo di giocare che necessita di esibizioni acrobatiche. In quanto scozzese purosangue, non potrei mai accettare una tale perdita di dignità come quella rappresentata dall’acrobatismo… Ho sempre pensato che sia una discesa nella pura bestialità». In senso opposto – e pur in modi differenti – Spagna, Italia e Russia veneravano i loro portieri come veri e propri oggetti di culto. «Rivaleggia con il matador e l’asso dei cieli in quanto oggetto di entusiastica adulazione», scriveva Nabokov nella sua autobiografia Speak, memory del 1966. Ancora, nel 1977, quando il Nottingham Forest allenato da Brian Clough pagò 270.000 sterline per Peter Shilton, si racconta di un anonimo dirigente della squadra che chiese perché spendere una tale somma per un giocatore che per 85 minuti di gioco non sarebbe stato coinvolto nel gioco.
Per quanto riguarda la Russia, anzi, l’Unione Sovietica, il portiere – solitario, eroico – è sì in un certo modo antitetico all’ideale collettivo tipico dell’ideologia dominante (e questo, Wilson suggerisce, potrebbe essere una delle cause dell’estrema popolarità del ruolo), ma la sua figura è assimilabile a un certo superomismo non assente dall’immaginario bolscevico. Nel 1937 un musical chiamato Vratar godette di un vastissimo successo nell’Urss. Raccontava la storia di Anton Kandidov, un ragazzo che per guadagnarsi da vivere stipava angurie sui carri. Notato da uno scout durante una serie di “prese”, venne ingaggiato da una squadra e andò incontro a una carriera di prevedibili successi. Anche in Zavist di Yuri Olesha, romanzo pubblicato nel 1927 in Unione Sovietica e 1936 in Inghilterra, compare la figura di un eroico portiere, Volodya Makarov, che salva la squadra dagli attacchi dell’individualista attaccante tedesco Getzke, concentrato solo sull’obiettivo personale del goal. In Spagna e Italia il fascino dell’estremo difensore non derivava da una sua raffigurazione eroica, ma piuttosto da ciò che Harry Rennie disprezzava: la showmanship, la stravaganza, l’istrionismo. Negli Anni ’30 il giornalista inglese John Macadam, assistendo a una partita della Nazionale azzurra con Aldo Olivieri tra i pali, notò come gli italiani si concentrassero nelle zone dietro la porta non, come gli inglesi, per assistere alle più pericolose azioni da goal, ma per poter vedere il portiere all’opera. «Il portiere continentale» scriveva «è più di un giocatore della squadra. È il supremo artista, la quintessenza dell’abilità atletica. Gli attaccanti, i mediani, i difensori possono giocare come vogliono e saranno giudicati secondo i loro meriti, ma se il portiere non riesce per qualsiasi ragione a mettere su uno show spettacolare, il pomeriggio è rovinato». L’eroe dei pali, nella penisola iberica, non può che rispondere al nome di Ricardo Zamora. Tale era la sua popolarità negli Anni ’20 e ’30 che un aneddoto racconta di quando, nel 1931, il suo omonimo Niceto Alcalá Zamora venne eletto presidente della Repubblica: pare che Stalin, informato della notizia, esclamò «Ah, quel portiere!».
In fatto di redenzioni, la più emblematica – e forse infinita e inconclusa – è quella del brasiliano Moacir Barbosa e, in parte, dell’intera categoria degli estremi difensori verdeoro. Barbosa nasce nel 1921, e ha 29 anni quando il Brasile gioca, al Maracanã di Rio De Janeiro, la finale di Coppa del Mondo del 1950 contro l’Uruguay. È il portiere titolare. Il Brasile si presenta alla finale con 21 goal fatti in 5 partite, compreso un 7-0 alla Svezia e un 6-1 alla Spagna. Il Paese nel 1946 aveva eletto un governo democratico, e il più grande stadio di sempre era stato costruito. Più di 200.000 persone, sugli spalti, aspettavano che la formalità della finale fosse conclusa. I quotidiani, nei giorni antecedenti, non si erano fatti scrupoli nel presentare la fotografia della formazione titolare con la dicitura “Sono questi i campioni del mondo” (senza punti interrogativi). Il Brasile, in vantaggio dal terzo minuto del secondo tempo, subiva prima il pareggio di Schiaffino e, a dieci minuti dal termine, il sorpasso di Ghiggia, un rasoterra da destra, diretto sul primo palo, su cui Barbosa si faceva trovare completamente fuori posizione. Jules Rimet, l’ideatore della Coppa del Mondo (al tempo ancora Coppa Rimet), aveva preparato un solo discorso per la premiazione: in portoghese. Il drammaturgo brasiliano Nélson Rodrigues definì l’evento «la nostra Hiroshima». Furono molti i suicidi nei giorni successivi. Barbosa fu “ucciso” dalla stampa e dal mondo del calcio; morì in povertà nel 2000. Di lui si ricorda una frase: «In Brasile la massima sentenza è trent’anni, ma la mia prigionia è durata cinquanta». Nel 1993 fu allontanato da un allenamento della nazionale al Maracanã da Mario Zagallo, assistente dell’allenatore Parreira, per paura della cattiva sorte che, si diceva, portava con sé. Ma l’episodio peggiore della sua vita, ha detto Barbosa, si verificò nel 1970, quando per strada una donna lo indicò a suo figlio: «Guarda. Quello è l’uomo che ha fatto piangere tutto il Brasile». Prima dell’esordio di Nelson Dida nel 1999, Barbosa rimase l’ultimo portiere brasiliano di colore ad aver giocato in nazionale.
Tra tutti i ruoli, quello del numero uno è il più affascinante e il meno intelligibile. È difficile capire il perché qualcuno possa scegliere una posizione in cui, per novanta minuti, si gioca da soli contro tutti. Contro gli avversari, è ovvio, ma in parte contro gli stessi compagni: è solo da un loro errore, una loro leggerezza o disattenzione che l’attaccante avversario può essere in condizione di ferire, rendendo così il portiere la personificazione dell’ “estremo rimedio”. E certo, questo spiega la fascinazione della letteratura per il ruolo. «È una cosa che funziona in entrambi i versi», ha raccontato Jonathan Wilson a Studio «ci sono stati molti poeti e scrittori che hanno giocato in porta, e quando qualcuno ha cercato di scrivere qualcosa sul calcio, è il portiere il ruolo che ha fornito più ispirazione. Credo che lo scrittore o l’intellettuale veda se stesso come un individuo con una prospettiva unica sulla società che lo circonda, come il portiere ha una prospettiva unica sulla partita, insomma, se vuoi scrivere di calcio in un certo modo letterario, come ad esempio ha fatto Julian Barnes, è abbastanza ovvio scegliere come soggetto il portiere: è quello che durante una partita ha più tempo per pensare, ed è il pensiero che rende l’uomo interessante».
Dai molti profili contenuti in The Outsider, due considerazioni emergono. La prima è una sostanziale conferma del cliché che vede il portiere, rispetto agli altri compagni, dotato di una personalità eccentrica, istrionica, sopra le righe. Tra gli aneddoti, è divertente ed emblematico quello di Bruce Grobbelaar, sudafricano estremo difensore del Liverpool dal 1981 al 1994, che, in una giornata piovosa con i Reds in vantaggio, prese in prestito un ombrello per ripararsi. O, ancora, si racconta di Giuseppe Moro, ex Fiorentina e Roma negli Anni ’40 e ’50, che più di una volta lasciò deliberatamente segnare gli avversari, offeso per una parola di troppo di un compagno o un allenatore. Ma chi portò all’estrema popolarità una certa follia tipica dei portieri furono i los locos, ovvero il messicano Jorge Campos, il colombiano René Higuita, il paraguaiano José Luis Chilavert.
Furono innanzitutto tutti grandi portieri, al di là del lato spettacolare: Chilavert è stato votato nella speciale classifica della Iffhs il sesto migliore della storia, Higuita fu il protagonista di quella Colombia del 1994 ricordata come la più forte di sempre, Campos guidò il Messico per 130 partite ufficiali in tre campionati Mondiali. I tre locos si resero famosi anche per i goal segnati: Campos usava indossare la maglia numero nove, e capitava non di rado che giocasse da mezzapunta; in carriera segnò 35 goal, tutti con la maglia di club. Chilavert, tra punizioni e rigori, ne segnò 62, di cui nove con la maglia del Paraguay. Higuita, anche se più celebre per lo “scorpion kick” messo in scena contro l’Inghilterra nel 1995, l’amicizia con Pablo Escobar e i capelli lunghi fino e oltre le spalle, 41. L’altra considerazione riguarda più nello specifico cosa significa essere portiere. Rispetto agli altri ruoli, ha una caratteristica del tutto particolare: il portiere si deve buttare, lanciare in aria per poi atterrare. Non la cosa più naturale che ci sia. Per questo, se da un lato esistono vere e proprie “scuole da portiere” (e non c’è traccia, ad esempio, di “scuole da terzino”, o “scuole da mediano”), dall’altro la tecnica insegnata non potrà mai fare a meno di una componente istintiva intimamente individuale, che si rende utile nel gioco ma non viene appresa dal gioco. Giuseppe Moro, ad esempio, disse di aver imparato a tuffarsi sul fronte siciliano durante la Seconda Guerra Mondiale, per salvarsi dai bombardamenti aerei; Peter Schmeichel, uno dei migliori di sempre, affrontava i tiri più ravvicinati (spesso colpi di testa) con il cosiddetto star jump, un modo di saltare cercando di coprire il maggior spazio possibile, con braccia e gambe tese a formare, appunto, una specie di stella.
L’interrogativo di fondo rimane: Jonathan Wilson non risponde al perché, in fondo, qualcuno dovrebbe scegliere di indossare consciamente il costume, storicamente nel calcio, di capro espiatorio e antitesi del gioco stesso. Né tenta di spiegare cos’abbia il portiere di così magico da avere da sempre affascinato come solo, forse, il numero 10; o meglio, non tenta di definirlo: lo racconta attraverso uno tappeto di storie che prosegue per più di 350 pagine, un mosaico che illustra come, anche grazie alla “regola del retropassaggio”, si sia integrato sempre più nel sistema-gioco, e nel folklore, cessando di essere l’incomprensibile buffone dei primi anni del secolo. Miracoli come quelli di Helmut Ducadam, capace di parare quattro rigori su quattro al Barcellona nella finale di Coppa dei Campioni del 1986, rimarranno, così come rimarrà la fascinazione per un uomo la cui maggiore sfida, per tutta la carriera, è quella con l’arbitrarietà del destino (uno su tutti: Moacir Barbosa). La conclusione, se ce n’è una, è che l’esiliato, l’outcast, difficilmente arriverà a una redenzione. La parata, come ha scritto nel libro The Game il portiere di hockey (ma pur sempre portiere) Ken Dryden, resterà sempre un gesto effimero rispetto al goal che, anche in caso di sconfitta, viene innalzato nella memoria collettiva e universale dalla statistica. Una salvezza per il “distruttore di raccolti” è impossibile: e non importa se gli sponsor (ex portieri) sono nomi importanti come Camus, Nabokov, e perfino un santo come Giovanni Paolo II.

Tratto da: http://www.rivistastudio.com/articoli/parare/

13 giugno 2013

The importance of being....Beckham?!

La cosa più difficile nell'importare un prodotto straniero, in particolare un film, sta nel tradurre in maniera accurata - e sensata - il relativo titolo. Molto spesso infatti il titolo di una pellicola non rappresenta solo un ornamento ma racchiude in sé l'essenza del film, il suo significato e/o relative implicazioni più o meno simboliche. Tutti aspetti che puntualmente vengono tralasciati nel passare da una lingua all'altra. Nel caso dell' italiano la questione è a dir poco tragicomica:da un lato è necessario rendere il titolo comprensibile a un' altra cultura e dall'altro cercare di mantenere anche il senso del titolo originale. A volte le scelte sono complicate e , per citare uno degli esempi più emblematici, l'inglese "Eternal Sunshine of the Spotless Mind" diventa "Se mi lasci, ti cancello". Non esattamente altrettanto poetico.
Tra le traduzioni più curiose troviamo anche "Bend it like Beckham"  [lett. piegala come Bechkam] diventato in italiano "Sognando Beckham";in questo caso la traduzione cambia in modo significativo non solo il senso del titolo ma anche la percezione di chi lo legge. Nella versione originale inglese, infatti, il titolo fa riferimento al particolare modo di Beckham di calciare la palla da fermo facendogli assumere una traiettoria unica e inconfondibile. Nella versione italiana,invece, il titolo fa riferimento al calciatore di successo come icona da raggiungere. La scelta in questi casi non è solo di tipo strettamente linguistico ma diventa una vera e propria operazione sociale e di marketing perché, in fondo, il titolo deve essere immediato per chi lo riceve;questo è il problema più complesso.
Tra i più famosi:
Home Alone -> Mamma ho perso l' aereo
Stagecoach [lett. La diligenza] -> Ombre Rosse
Intouchables [lett. francese intoccabili] -> Quasi amici 
Un caso ancora più singolare è quello in cui un titolo in lingua straniera viene sostituito con un titolo nella stessa lingua straniera! 
Per chiudere vale la pena citare anche il caso del famoso scritto di Oscar Wilde "The Importance of being Earnest" ormai da tutti tradotto "L' importanza di chiamarsi Ernesto"; questa traduzione, seppur corretta, perde tutto il senso del gioco di parole voluto dallo stesso Wilde. Earnest, infatti, oltre che il nome proprio Ernesto indica anche l' aggettivo serio, coscenzioso. Chiunque abbia letto il testo in questione capirà immediatamente il perché di questo aggettivo. In italiano la traduzione che più copre entrambi i significati è, la poco conosciuta e utilizzata "L' importanza di essere Franco".
Quanti altri esempi esistono?
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The most difficult aspect in selling a foreign product, in particular film or similar things,is being able to translate in an effective - and obviously reasonable - way its title. The title of a film it is often part of the meaning of the story itself and sometimes it has also some symbolical aspect. All this things are often ignored while translating from one language to another The results are not always so good! Speaking about English titles translated into Italian the result are often quite strange: on one side you need to make people understand the title and from another side you need to try to maintain the same symbolism. It happens that all this process is particularly complicated and you can find that "Eternal Sunshine of the Spotless Mind"  has become " Se mi lasci,ti cancello" [literally: If you leave me, I' ll delete you"]. It is not the same things!
Among the most curious translations we can find "Bend it like Beckham" which has become "Sognando Beckham" [literally; dreaming of Beckham"]. In this example the Italian translations uses the image of the famous footballer just as a model of how to became,it suggests the idea that the main character wants to became as good as Beckham. In the English title the attentions is focuses on the particular way Beckham kicks the ball, which has become one of his distinctive signs.
The choice is not simply linguistic but it implies also social issues and marketing strategies.
The title needs to be effective for that particular audience; that's the most difficult issue.
Just to add some famous examples:
Home Alone -> Mamma ho perso l'aereo [Mum,I' ve lost the flight]
Stagecoach  -> Ombre Rosse [ Red Shadows]
Intouchables [lett. French Untouchables] -> Quasi amici [Italian -> Almost Friends]
There are even situations in which an English title is replaced by another different English title!
At the and is is worth mentioning the book written by Oscar Wilde " The Importance of Being Earnest" wich is always translated in Italian as "L' importanza di chiamarsi Ernesto" [The importance of having the name Ernest"].
This tranlations, even if cuould be considered as grammatically correct, completely ignores the joke made by Wilde himself. Earnest , in fact, means: serious in mind or intention.
In Italian the most accurate, but the least used, translation is "L' importanza di essere Franco" [The importance of being Frank" , where Frank is both a name and and an adjective.
How many other examples can we give?


21 maggio 2013

Go out and live!

Oggi voglio condividere quello che semplicemente vale la pena di non dimenticare nella propria vita. La vita è una e i soldi non sono tutto. /  Today I just want to share what I think is worthy and must not be forgotten in everyone's life. Life is one and money aren't everything. :)


1 maggio 2013

One day, two events

Oggi vale la pena di soffermarsi a riflettere su due importanti avvenimenti. Prima di tutto, come noto, oggi è la festa dei lavoratori. Un evento che nel tempo ha perso di considerazione ma che, soprattutto in questo periodo di crisi, andrebbe ricordato, valorizzato e celebrato. Perché il lavoro è un DIRITTO per tutti....e anche pretendere condizioni di lavoro adeguate lo è. No alla schiavitù in nome del profitto!
Il primo maggio è anche la data di un avvenimento che nessuno - sportivo o meno- avrebbe voluto ricordare:la morte del pilota brasiliano Ayrton Senna durante il GP a Imola. L' ultimo pilota a perdere la vita in questo modo, il più grande di tutti dentro e fuori l' auto.

"I ricchi non possono vivere su un'isola circondata da un oceano di povertà. Noi respiriamo tutti la stessa aria. Bisogna dare a tutti una possibilità."
"Non si tratta solo di tonicità o di massa muscolare, si tratta della potenza fisica che ricavi parlando al tuo corpo e alla tua mente... E lo si impara solo facendolo, credo. C'è qualcosa di speciale nel concentrarsi su sé stessi, nel conoscere i propri limiti, capire la natura della propria forza, quali sono le proprie capacità, per cercare di arrivare ad essere una persona meno spigolosa. "

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Today is a day in which we celebrate 2 important events. First of all today is the day in which we celebrate the workers,all the people that have worked and those who are working. In the past this festivity had a higher consideration but I think it deserves to be remembered, valued and encouraged - especially in this period of economic crisis. Because work is a RIGHT for all people....and so is pretending  to work in an right environment. No to slavery in the name of gain!
The 1st of May is also the date in witch the great brasilian driver Ayton Senna died during the GP in Imola (Italy).
The last driver who died in such circumstances and the greatest off all, in and outside the car.

These things bring you to reality as to how fragile you are; at the same moment you are doing something that nobody else is able to do. The same moment that you are seen as the best, the fastest and somebody that cannot be touched, you are enormously fragile. Because in a split second, it's gone. These two extremes are feelings that you don't get every day. These are all things which contribute to -how can I say?- knowing yourself deeper and deeper. These are the things that keep me going."
"Wealthy men can't live in an island that is encircled by poverty. We all breathe the same air. We must give a chance to everyone, at least a basic chance."




16 aprile 2013

Waiting on a sunny day

Qualsiasi genere di musica si preferisca, è difficile rimanere indifferenti di fronte alla potenza espressiva e alla carica di passione e significati che trasmette Bruce Springsteen quando canta e scrive.
Chiunque abbia avuto la fortuna di poterlo ammirare in un concerto dal vivo - e io sono felice di poter dire di essere tra queste persone - sa perfettamente che la potenza del Boss non lascia indifferenti. In questi giorni festeggia 40 anni di onorata carriera, anni in cui non si è mai risparmiato e ha sempre voluto cantare e parlare di quello che succede intorno a lui....e a noi. Il Boss non è mai fuori tempo e fuori argomento;semplicemente perchè vive tra la gente.
Si potrebbe parlare e scrivere per ore della sua carriera e dei suoi album ma basterà citare un' episodio su tutti: poco dopo l' attacco alle Twin Towers nel 2001 il Boss uscì con il suo nuovo album "The Rising" e ovviamente l' intero lavoro rifletteva le sue sensazioni sul tragico fatto. Che cosa c è di strano? Tanto per iniziare, in un periodo di profondo sconforto intitola l' intero album "Risollevamento", rialzatevi gente!!E all'interno del disco di trova un meraviglioso inno alla speranza, di un' allegria contagiosa "Waiting n a sunny day". Anche oggi in questi tempi di crisi e di notizie di cronaca poco positive e confortanti il vecchio Spingsteen parte con un nuovo tour mondiale ed è ancora qui a cantare " Don't worry we are gonna find a way".
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Whatever your favourite kind of music is, it is hard not to be amused caming across the tremendous passion and expressivity shown by Bruce Springsteen in his singing and writing.
Everyone who has had the occasion of seeing him live in a concert - and I'm glad to say I'm one of those people - knows that his charm does make an impact. In these days he is celebrating 40 yeras of career, years in which he has always sung about what was happening around him and...around us. The Boss is never out of time and topic;simply because he lives among the common people.
You could spend hours talking about his career and albums but it can be useful just to tell one episode: not long after the Twin Towers attack in 2001 The Boss came out with a new album "The Rising" and - obviously- the entire album was full of his reflection about this orrible fact. What's the point? Just to began, in a period of sadness he titles his album "Rising", rise up people!! In the album you can also find a beautiful tribute to hope, a tribute of a contagiuos joy "Waiting on a sunny day". Also today,, ia a period of crisis and of negative and non comforting news the old Spingsteen start a new world tour and he is still here singing "Don't worry we are gonna find a way".




11 aprile 2013

An interesting way to practice a language :)

Se sei un vero appassionato di lingue e vuoi essere sempre informato sulle ultime notizie dal mondo non basta far altro che sintonizzarti sulla radio finlandese Yle Radio 1 e avrai tutte le notizie che vuoi....in latino!
Una volta a settimana questa emittente trasmette un notiziario con le ultime news di politica,economia e società del mondo;la trasmissione è iniziziata ormai vent' anni fa ed è ancora un successo dimostrando che esistono ancora molti cultori della lingua morta di Roma.
L' accento non è perfetto am i contenuti sono imappuntabili. Quindi se fai parte di questi appassionati puoi trovare tutti i podcast sul sito (il sito è in finlandese ma si possono facilmente individuare i link per far partire le registrazioni audio): http://yle.fi/radio1/tiede/nuntii_latini/
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If you are keen on languages and you want to be informed about what's going on around the world just go to the Finnish radio station Yle Radio 1 and you will have all the news....in Latin!
Once a week This channel gives all the latest news about politics, international busisness and politics in the ancient Roman language;this programme started 20 years ago and it has always been a success demonstrating thet thare are lots of people that still love Latin.

The accent is not perfect but the content are. And if you are really fond of Latin here yu can find all the transmission ( the site is in Finnish but you can easily find the audio- link):http://yle.fi/radio1/tiede/nuntii_latini/





7 aprile 2013

How TV influences us?

In questi giorni sta andando in onda in Italia l' ottava serie della serie tv "Un medico in famiglia". Ho sempre seguito le vicende dei protagonisti , la famiglia Martini di Roma, ma le ultime due o tre stagioni mi hanno perplesso non poco;oltre alle trame diventate piuttosto contorte e surreali, quello che davvero è cambiato sono i personaggi.
Il dott. Lele Martini è un medico di famiglia che lavora nella ASL Sperimentale di Roma come ce ne sono tanti ma nel corso delle serie fa una carriera folgorante:prima vola in Australia per effettuare importanti ricerche scientifiche, poi diventa professore universitario alla Sorbona di Parigi e quando finalmente decide di tornare ad esercitare la professione a contatto con i pazienti la vecchia ASL è diventata una moderna ed iper-selettiva clinica privata. E' interessante osservare come nelle prime serie la ricca suocera del dottore non perdesse occasione per apostrofarlo "mediconzolo" per il fatto che con una laurea in medicina si limitasse a curare gli acciacchi delle vecchiette. Quella che può sembrare solo una banale presa in giro in realtà insinua nello spettatore che ride la consapevolezza che - beh si dai fare il medico della mutua è da sfigati e si guadagna poco - e legittima il repentino passaggio di carriera che fa guadagnare al dott. Martini il rispetto e l' ammirazione del pubblico.
Ma...è il dott. Martini ad essere cambiato oppure è il pubblico - e quindi la società italiana- che crede in una figura diversa?Quanto sarebbe credibile nell' Italia del 2013 un protagonista medico di famiglia in una struttura pubblica? Dal mio punto di vista la questione è ben più complicata e richiederebbe una analisi più approfondita ma in sintesi credo si possa parlare di una doppia influenza.
Dieci anni fa (all' uscita della prima serie) l' ASL era ancora una istituzione discretamente autorevole e i medici che vi lavoravano erano rispettati e le cliniche e soprattutto gli ambulatori specialistici privati erano ancora rari e poco diffusi. Piano piano invece questi ultimi hanno soppiantato - e stanno soppiantando - le strutture pubbliche in fatto di immagine di affidabilità;e una fiction basata sulla realtà diventa di successo se il pubblico può identificarsi nei suoi personaggi oppure sviluppa una sorta di ammirazione per un personaggio di successo. Sul fronte sanitario oggi che cosa viene spacciato - con troppa superficialità a mio avviso - per eccellenza? Il privato.
Un semplice personaggio della fiction generalista può dire molto della società in cui questa fiction è prodotta e trasmessa ed anche di quando la tv e i suoi prodotti abbiano cambiato e stiano cambiando al nostra visione della società e dei bisogni.
Dieci anni fa il dott. Martini era fiero di rappresentare la ASL e di fornire un servizio pubblico oggi i direttori amministrativo e sanitario di Villa Aurora forniscono le migliori tecnologie a chi ha il portafoglio abbastanza ampio da poterselo permettere. Per tutti gli altri il caro vecchio medico della mutua effettua comode visite notturne a chi non può permettersi quelle a pagamento;nella fiction il gran direttore amministrativo in un impeto di bontà concede una giornata gratuita per tutti, e nella realtà?

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In this days the Italian television is broadcasting the new season of the tv series "Un medico in famiglia" (in English "Having a doctor in the family"). I have always followed the adventures of Martini's family from Rome  but the latest seasons really doesn't convince me ; despite of the less realistic stories and relationships , the thing that has really changed are the caracthers.
Doctor Lele Matini works in the ASL ( the Italian pubblic medical service - Local Sanitary Assistence) in Rome but in the different series he experiments a fantastic progression of his carrer: first he flies to Australia to became a researcher that he becames a professor at the Sorbonne , Paris and when he finally decides to work agan with his patients ASL has become an ultra modern private clinic. It is interesting to observe that in the first season doctor Martini 's mother-in-law often makes fun of him telling that working for the pubblic service is for losers and you can't eran much money. What seems only a joke suggests to the spectator that - yes, working for the pubblic health system isn' t the best you can acheive as a doctor- and so it legittimates Martini's carrer progression and lets the pubblic admire his charecter.
But...is doctor Martini's that has changed or is the pubblic - and so the Italian society - that trusts a different character? How polular could be in 2013 the doctor of a pubblic service? Of course the question is much more comlicated but it we can say that there is a mutual influence.
Fifthteen years ago when the firt season was released doctors who were working for ASL where trusted and respected as high professionals and private clinics weren't polular - they barely existed in small towns.
Day by day these privet clinic and ambulatories has become much more popular and now they are everywhere and - what's more important - private ones have worked to replace the pubblic ones in reliabily and professionality. A tv show that petends to recall normal life became successfull if depicts a character people can trust or see a model f success. Talking about healt, what is considered -but is always isn't- successfull? The private clinic.
A fictional charater can say much of the society and the country in which that show is produced and it can underline how tv and the things we see in it can change our vision of society and needs.
Ten years ago doctor Martini was proud to represent ASL and to give a public service and now the directors of Villa Aurora give the latest techologies to who is rich enough to pay a consistent bill. For the other doctor Martini's organizes noctural visits; in the show one of the directiors decides to dedicate a day to free visits. And in reality?